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Oscenità del Giudizio

Lo sguardo di Le Dritte di Simo

Con il termine Giudizio nel linguaggio comune si intende un’affermazione verbale o scritta che non ha il fine della sola constatazione di fatto ma che esprime una valutazione sulle qualità o il merito di una persona o di una cosa. La scuola insegna che i giudizi finali si basano su un rendimento dell’alunno, non certo sul carattere dell’alunno o su come lui stesso vive la vita o come vorrebbe viverla. Dare un giudizio sullo stile di una persona, sul suo vivere la vita, sui comportamenti che assume o sugli atteggiamenti che mostra, ha una derivazione religiosa. Si giudica spesse volte le scelte altrui che non seguono una direzione ‘devota’ e rispettosa della parola di Dio. Tutto ciò che contrasta viene addirittura definito peccaminoso. Quindi chi ammette l’adulterio, il divorzio, l’aborto, oppure chi fa scelte che si distanziano da quelle comune, viene accusato e diventa un bersaglio, facile, da disprezzare e condannare. Ognuno si erge a protettore di una legge sacra. Ma chi sono questi giudici? Perché il loro giudizio viene inteso come verità assoluta? L’importanza che si dona al giudizio supera qualsiasi coscienza e incatena il libero arbitrio. Gli uomini sono portati al giudizio continuo e sono anche timorosi di ricevere giudizio. La severità con cui si giudica travalica ogni limite. L’ansia da giudizio porta l’essere umano a vivere con la sensazione che l’altro lo criticherà e giudicherà qualsiasi cosa faccia, quindi evita di essere sotto il mirino di osservazione sopprimendo purtroppo la sua spontaneità e la sua libertà. Il giudizio è una lama sottile che taglia la comunicazione quotidiana di una persona piano piano e che lacera fino in profondità. Fa sanguinare e paradossalmente quel dolore che si sente lo si trasforma non in forza per migliorarsi ma in remissione e compiacimento verso chi giudica. Il senso di inadeguatezza deriva dalla persona stessa che non si sente all’altezza di una situazione o di un dire. Parte da una sfiducia in se stessi dando l’arma direttamente agli altri. Pone figuratamente e non solo la persona su un gradino inferiore, innalzando ad un livello spudoratamente superiore il cosiddetto giudice. Pensare a quanto si dà importanza a questo o a quel giudizio sulla propria persona potrebbe far reagire, oppure sottomettere. Si è così concentrati a vedere le sottomissioni in altri ambiti e biasimarle, che non ci si accorge di porre se stessi in una condizione di schiavitù nei confronti degli altri. Riflettere e agire sono le uniche azioni da compiere.

Lo sguardo di Spore Poetiche

https://sporepoetiche.wordpress.com/

Denudarsi: un’azione semplice ma, al contempo, carica di emozioni. Un gesto che, nel momento in cui lo si compie, si ammanta di pensieri contrastanti capaci di soffocare la libertà di cui il gesto è portatore. La nostra società si basa sul giudizio. A prima acchito ciò è positivo. È lo stimolo che ci permette di progredire, di evolvere. Purtroppo però, il giudizio, è usato non per misurare i miglioramenti personali atti all’auto miglioramento, ma bensì per stilare classifiche in cui l’altro è un competitore. Il giudizio diviene, per cui, il metro di misura di una società competitiva. E quando la vita quotidiana si trasforma in una continua gara per surclassare l’altro, il giudizio ha vita facile nell’insinuarsi nella nostra realtà, trasformando intaccando ogni nostra sfera esistenziale. Credo sia capitato a chiunque, almeno una volta nella vita, di essersi sentito/a a disagio nell’istante in cui si apprestava a entrare in intimità con una persona capace di destabilizzargli/le i sensi. Chissà se sarò all’altezza delle sue aspettative, speriamo non noti quel brutto neo che ho sulla schiena, le mie forme/misure lo/la deluderanno? Nell’istante in cui decidiamo di metterci in gioco, svelandoci all’altra persona, il giudizio figlio di una società competitiva si presenta sull’uscio limitando la nostra libertà, soprattutto durante il sesso. Perché? Semplicemente perché il sesso è la forma più prorompente di libertà. I nostri istinti e desideri si manifestano con più ardore proprio nel momento del coito, e nella vertigine dell’amplesso, diveniamo esseri incontrollabili. Può una società in cui controllo e giudizio sono sinonimi, permettere che il caos generatore di libertà, si manifesti nella sua naturale semplicità? Credo di no, e proprio attraverso la condanna di certi atti e pratiche attraverso giudizi netti e taglienti, instilla in noi la paura. Una paura figlia del giudizio perché ci sarà sempre qualcuno/a pronta a criticare il fatto di non essere all’altezza del compito assegnato; di non conformarsi alle regole; di essere troppo alto o troppo basso; di essere gentile nei momenti sbagliati, e cattivo nei momenti meno opportuni; di sentirsi libero/a di godere della propria sessualità; e di qualsiasi altra cosa. Il giudizio è un’arma a doppio taglio perché, da un lato ci impedisce di vivere a pieno la vita seguendo il proprio istinto; e dall’altro la possiamo rivolgere verso gli altri come è stata puntata verso di noi. E se nel momento in cui mi denudo, con l’intento di spogliarmi di ogni inibizione, mi sento giudicato/a da colui a cui mi do, il rapporto che andrà a crearsi in quel momento non sarà un’unione di intenti, ma bensì uno scontro per ottenere una medaglia. La prima faccia della medaglia sarà caratterizzata dal bisogno spasmodico di essere riconosciuto/a – e per ottenerla sarò costretto/a a snaturare il mio essere. La seconda faccia rappresenterà la pura ricerca del piacere personale – un atto egoistico in cui l’altra persona si tramuta in mezzo per raggiungere l’obiettivo. Credo che il giudizio ci privi di quella naturale libertà di cui il sesso è portavoce. Con un continuo bisogno di catalogare ogni nostro gesto e pensiero, il giudizio costruisce attorno a noi gabbie da cui poi facciamo fatica a evadere. E nel mentre ci denudiamo, convinti/e di svelarci all’altro, inconsciamente indossiamo strati su strati di paure e castrazioni.

Un articolo a quattro mani, che pone l’osservazione di due blogger con stili diversi e di sesso diverso, ma con un comune denominatore: la voglia di denunciare e di far riflettere!! Andate a dare uno sguardo anche al blog di Alessandro, merita.

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Voi ed Io: un viaggio alla scoperta e riscoperta della sessualità

Cosa porta un gruppo di ragazzi giovani a creare una pagina instagram e un vero e proprio sito e-commerce dedicato al piacere, alla riscoperta del sesso, a far vivere un’avventura attraverso una Secret Box? Perché guidare, in modo giocoso e spensierato ma consapevole coppie e single, a svestirsi di tabù e vestirsi di complicità persa o solo abbandonata? Queste domande e altre ancora sono uscite fuori durante la piacevole chiacchierata avuta con Mattia, uno dei creatori di https://bookhousex.com/. Questa volta il mio salotto culturale ha ospitato un tema che a mio avviso dovrebbe avere più libertà di vivere senza restrizioni o inibizioni. Il piacere, il desiderio, il sesso visti come esperienza ed avventura e non come abitudine.

Bookhousex nasce dalla mente di alcuni ragazzi che vedendo loro coetanei e non, imbarazzati e poco comunicativi sul tema della sensualità e della sessualità hanno in modo originale ideato, con l’aiuto di sessuologi e designer, un’esperienza in tre step contenuta in una Secret Box. Una scatola delle sorprese che spinge la coppia o l’individuo ad avere maggiore conoscenza di sè e di chi gli sta accanto. La sessualità non sempre è vissuta con libertà e coscienza. Il più delle volte il non detto è più facile da gestire rispetto a ciò che si vuole dire. L’imbarazzo o ancor peggio i tabù non fanno vivere la propria sessualità, il proprio desiderio, o le proprie fantasie in modo libero e disinvolto. Svincolarsi da pregiudizi e soprattutto non lasciare che il cassetto si riempia di mostri silenti ma esprimere le proprie voglie e il proprio piacere, non porta altro che a vivere a 360 gradi la propria intimità sessuale e sensuale. I ragazzi della Bookhousex, con la loro Secret Box e con le loro interviste ad esperti in materia, tracciano una via verso la libertà del desiderio, danno una spinta alla condivisione della fantasia celata, non visibile ma esistente, incoraggiano alla conversazione e alla conoscenza sessuale. Questo loro innovativo progetto non vuole fermarsi ad un isolato ed unico evento ma sperano che aiuti ad arricchire la confidenza sessuale con se stessi e con i partner, che regali continuità a ciò che accende la Secret Box. La sessualità, il sesso in genere viene vissuto, o per cultura e per mentalità, o per paura con poca comunicazione. La comunicazione è la base di ogni relazione, se ci si spoglia di essa la relazione rischia di essere piatta e senza stimoli. Anche per questo il linguaggio erotico contribuisce a rendere la comunicazione efficiente. Abbracciare inoltre altre forme di erotismo regala alla coppia e all’individuo una comunicazione verbale e non, molto proficua che rimarrà nel tempo e porterà ad una consapevolezza maggiore di ciò che è l’eros. Di solito si demonizzano i toys, i giochi o giocattoli sessuali che stimolano ed intensificano il piacere erotico rendendo la sessualità più aperta e giocosa. In questa Secret Box un ruolo di rilievo lo hanno proprio i toys. Il limite lo pone la mente. E’ la mente che muove e smuove. E’ la mente che sollecitata da impulsi, che possono arrivare anche da questi strumenti, regala una scoperta e riscoperta delle proprie emozioni. La sessualità è vivere in modo sincero e libero ciò che piace e ciò che non piace, è sperimentare trovando sintonia con il nostro corpo e con chi ci sta accanto. La sessualità è coraggio. La sessualità è un viaggio, e perché non farlo con un Unboxing?

I ragazzi della BookHousex hanno attivato un codice sconto con il mio nome per coloro che volessero acquistare la Secret Box, il 20% di sconto inserendo LEDRITTEDISIMO20

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Parte emotiva e parte razionale: due fili di una stessa trama!

Mai avremmo pensato di vivere un periodo cosi altalenante. Mai ci saremmo proiettati a vivere un momento così complesso e a tratti anche incomprensibile. Non avremmo mai creduto che la nostra libertà potesse essere messa così a dura prova. Eppure ci troviamo a vivere un mese cosi magico, dicembre, con uno stato d’animo che oscilla tra l’essere emotivo e l’essere razionale. La nostra mente emotiva combatte con quella razionale, si scontra, e a seconda delle occasioni, l’una prevale sull’altra e viceversa in modo netto. Quando usiamo la parte emotiva e quando quella razionale? Cosa usare e in quali circostanze usare l’una rispetto all’altra? Si passa dall’usarle durante la semplice scelta di indossare un abito, all’usarle per affrontare problemi, passando nell’usarle per la quotidianità. Ma nell’utilizzare una piuttosto che un’altra abbiamo chiaro il perché? Essere mossi dall’emotività o dalla razionalità porta a seguire diverse scelte, porta a percorrere diverse direzioni. L’esser consapevole di aver fatto vincere una parte invece che un’ altra ci pone nella condizione di chiederci sempre se è stata la giusta decisione oppure no, e sia nell’uno che nell’altro caso il pentirsi non deve essere una scusante. L’emotività comprende l’esser istintivo, la razionalità include l’esser riflessivo. Entrambe fanno parte dell’essere umano, ed entrambe devono essere parti attive di Noi. Ogni cosa che ci si pone davanti, ogni situazione o periodo, dovrebbero essere osservati in maniera meticolosa e affrontati conoscendo la natura emotiva e razionale che comanda. Metterci nei panni di spettatore della nostra mente non fa altro che mettere una lente d’ingrandimento su Noi stessi e valutare il nostro agire in qualsiasi occasione. Riuscire a vedere la nostra parte dominante fa comprendere ancora di più ciò che siamo. Comunicare con se stessi per mostrare ed esprimere Noi anche solo banalmente con un look dovrebbe essere alla base di un viaggio nell’interiorità. Il proprio stile viaggia attraverso l’esteriorità passando dalla nostra mente e da ciò che essa produce, per questo quando il cervello emotivo e il cervello razionale trovano un punto d’incontro allora si è conquistata l’armonia con il sorriso. Un sorriso che non coinvolge solo le labbra ma che trascina anche i muscoli degli occhi, un sorriso che prende il nome di sorridere con gli occhi. L’ emotività di solito predomina in varie occasioni, anche la sua etimologia, muovere verso, conferma un primato sulla razionalità che invece delinea la destinazione, ovvero la conoscenza e l’analisi di determinate situazioni. La razionalità ci porta alla conoscenza, l’emotività ci porta all’azione. Per avere il giusto modello di equilibrio dovrebbero entrare in gioco entrambe. La parte emotiva dovrebbe intrecciarsi con quella razionale dando forma e figura a ciò che siamo nel bene e nel male. Se dovessimo raffigurare questo intreccio allora potremo dire che l’abito che si indossa è la parte emotiva e chi lo indossa è la parte razionale. Un contenuto emotivo per un contenitore razionale. Il legame è talmente stretto che uno non può esistere senza l’altro, ed entrambi rispondono alle caratteristiche e alle informazioni che ogni essere possiede.

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Quando il comunicare in maniera efficace diventa un’arte!

L’arte del comunicare non è un qualcosa che compri al mercato, non è qualcosa che si vende attraverso i libri o attraverso gli studi sulla comunicazione, non è una materia che impari a memoria e subito dopo diventi abile nell’arte del comunicare. L’arte di comunicare raggruppa diversi campi. Si comunica attraverso la parola, attraverso i gesti, attraverso i comportamenti, si comunica attraverso ciò che si indossa, si comunica attraverso suoni, sguardi, insomma si comunica sempre e comunque. Ma siamo sicuri di comunicare in maniera efficace sempre? Siamo certi che quello che vogliamo dire o vogliamo comunicare arriva in maniera comprensibile ed esatta? Per questo bisognerebbe considerare il comunicare un’arte, per questo bisognerebbe sapere che qualsiasi espressione che sia essa digitale, visiva, sensoriale, scritta, ha un peso e che quel peso si traduce in conoscenza. Quando ci vestiamo o anche solo quando scegliamo cosa indossare diamo importanza ai dettagli, diamo un occhio di riguardo al colore delle scarpe, all’abbinamento di un capo su un altro, ci concentriamo su quale gioiello deve firmare il nostro look, insomma nulla è lasciato al caso. Tutto quello che andremo ad indossare comunicherà la nostra persona o il nostro messaggio. La stessa meticolosità con cui scegliamo come vestirci e cosa portare dovrebbe essere usata anche quando utilizziamo la parola o la scrittura. Non è ammissibile dichiarare che quello che volevamo dire non era quello che pensavamo. L’arte della comunicazione dovrebbe essere un’arma sempre precisa senza sbavature, dovrebbe essere scrupolosa quando la si sfoggia e dovrebbe rivelare la persona che la sta usando. Ciò che si comunica dovrebbe prima essere assimilato da chi deve comunicare il messaggio e poi essere compreso dal destinatario grazie alla concretezza della comunicazione. A volte ci si dimentica quando sia importante il saper comunicare nel mondo virtuale o digitale, non solo perché ci sono fraintendimenti ma perché chi comunica potrebbe lanciare messaggi che lo ‘marchiano’. Come al mondo ci sono diverse lingue anche nella comunicazione ci sono diversi modi e quei modi dovremmo prima impararli a conoscere e poi utilizzarli per diffondere ciò che vogliamo. La natura della comunicazione efficace si avvale di qualcosa che va oltre la mera trasmissione del messaggio, ha in se un supplemento di anima. Ed è proprio il sentimento che deve essere contemplato all’interno del comunicare, perché altrimenti il messaggio rischia di non essere considerato.

I vestiti sono degli artifici semiotici, cioè delle macchine di comunicazione” Umberto Eco.

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L’abito e lo stile sono strumenti per comunicare!

Ho sempre detto che il fine del mio Blog è riuscire a riflettere sul nostro stile, a viaggiare interiormente attraverso ciò che indossiamo, capire noi stessi utilizzando il nostro gusto per poi farci conoscere ancor prima di proferir parola. Ognuno di noi appartiene ad uno stile, ogni stile può diventare il mezzo di comunicazione di ognuno di noi. Lo stile non è costituito solo da ciò che si indossa, ma anche dal perchè lo si è scelto, dal come lo si indossa, da ciò che si vuole trasmettere e da come ci si vuole mostrare. Se reputiamo tutti questi aspetti come la somma di elementi importanti che raccontano la nostra storia, allora vuol dire che stiamo dando un valore psicologico allo stile.

La domanda che tutti si pongono quando ci si veste è: “come facciamo ad essere fighi ?” In altre parole “come riusciamo a far si che la nostra personalità e persona vengano ammirate ed elogiate ?” Il primo strumento con cui comunichiamo è il nostro vestire. Il proverbio che dice l’abito non fa il monaco non è del tutto vero, perchè è giusto che non ci si debba soffermare all’apparenza ma è pur vero che ciò che indossiamo ha un valore e quel valore è dato sia dalla scelta di aver preferito un brand ad un altro, che da ciò che vogliamo trasmettere con quel look o stile. L’abito inizialmente produce un effetto, vestirsi deve avere in sè un messaggio interiore perchè va a sostituire in prima battuta la comunicazione verbale. Sfoggiare un look rispetto ad un altro, vestire un brand rispetto un altro, deve avere una finalità, deve mandare un messaggio ovvero il nostro messaggio. Noi tutti risultiamo contenitori, se questi contenitori rimangono vuoti non si potrà mai avere valore personale ma ci si affiderà sempre e solo al valore del brand che indossiamo, se invece il contenitore è pieno il suo valore anche se piccolo sarà reale, proprio e vero. Psicanalizzare il comportamento di una scelta non fa altro che indirizzarci verso la creazione di una identità. Se si sceglie di omologarsi alla massa, si sceglie di rompere le differenze di età e di classe sociale, copiare uno stile non fa altro che rendere tutti ‘stessi personaggi’ di un’unica comunità e allora in quel caso non è l’abito che comunicherà il nostro messaggio ma dovranno essere i comportamenti, gli atteggiamenti e le parole di ognuno ad annunciare chi siamo e cosa vogliamo dire. Ma se invece ci affidiamo ai vestiti e allo stile, o gli stili, che mostriamo allora saremo capaci di disegnare la nostra identità. Saremo abili, attraverso ciò che scegliamo di vestire, di parlare, di raccontare e narrare di noi ma anche del brand che portiamo. Pensare che indossare un marchio alla moda o un capo particolare o specifico possa garantire l’essere ‘figo’ vuol dire fingere a se stessi di far parte di uno stile di vita che non rende felici ma tutt’altro, quella felicità è effimera. Se si pensa di darsi valore attraverso gli oggetti in voga allora vuol dire che si è insicuri, che non si crede a quanto si vale e che invece di dare valore alla persona lo si leva. Quindi tutto sta nella scelta e nel perchè si sceglie di vestire un capo. Sapere perchè si sta indossando quel capo equivale a rivelare ciò che abbiamo dentro e cosa vogliamo divulgare.