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C’era una volta!

C’era una volta… Le favole iniziano sempre così. Quasi come se ti prendessero per mano e ti portassero all’interno della storia. Più si entra nel vivo del racconto più ci si sente immersi in essa. Ogni cosa diventa storia di se stessa e in questo risiede il valore che si deve dare alla storia. Un vestito che si indossa ha una sua storia. Un’esperienza accaduta ha una sua storia. Noi persone umane abbiamo una nostra storia e ogni giorno ne creiamo una nuova o una che si allaccia al giorno precedente. Raccontare con immagini, foto, parole ciò che ci accade, ciò che attraversiamo, ciò che sono le nostre preferenze, non fa altro che scrivere capitoli della nostra storia. La storia a cui diamo vita può essere breve e completa, lunga e non conclusa, superficiale oppure profonda. Si possono avere più storie da raccontare, Noi stessi siamo più storie. Le storie hanno un’importanza a volte sottovalutata. Qualunque storia, in qualsiasi ambito nasca, deve rivestire un ruolo considerevole. Se solo pensassimo alle storie di un Social come veicolo per raccontare, si porrebbe maggiore attenzione nel narrare. Quasi come se fossero dei cortometraggi di vita.

Le storie potrebbero essere paragonate alla scelta dei capi che indossiamo. Passiamo dai capi casual a quelli raffinati, da abiti sportivi ad eleganti, da vestiti leggeri a quelli pesanti, insomma diamo vita ogni giorno ad abbinamenti che mostrano il nostro umore o voglia del momento. Le storie fanno la stessa cosa. Passano dall’essere frivole a serie, da comuni ad uniche, dall’essere scherzose all’essere divulgative. Ognuno di Noi dà origine ad una storia meritevole di essere raccontata e mostrata. Siamo la storia che mettiamo in scena. La scenografia può cambiare e può essere sistemata a seconda di come ci sentiamo ma Noi rimaniamo attori e in alcuni casi spettatori.

La storia è una successione di eventi che accadono ai personaggi e nello specifico a Noi stessi, ma risultiamo anche Noi i registi che mettono in atto questo racconto. Esprimendo, apparendo, mostrando, non si fa altro che scrivere o girare una storia che riguarda Noi e il nostro modo di essere, di vedere e di vivere. Nessuno può o deve intervenire nella storia altrui. La narrazione è nostra ed anche se può sembrare discutibile, è comunque la somma di quello che siamo Noi. Nessuno deve stilare la nostra storia, ognuno deve mettere la firma sulla propria. Il canale sul quale scriverla siamo Noi a sceglierlo ma senza dimenticare che storia vuol dire fatti, esposizione, realtà. La storia è la metafora della vita, è l’espressione figurata della vita. Dare una trama al nostro stile di vita vuol dire creare storia. Ogni cosa che immaginiamo o ideiamo, che sia un accostamento di accessori, la scelta di un capo di abbigliamento, uno scatto per la nostra galleria Social, un programma di allenamento, qualsiasi cosa sia, diventa un pezzo di storia di Noi. E dato che ne facciamo parte allora perché non darle voce?

La storia è il racconto dei fatti, e i racconti sono la storia dei sentimenti” Claude Adrien Helvetius.

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App, Tech e Beauty, una sinergia sempre più reale che l’Oréal conosce bene

Quando negli anni ’90 pensavamo al 2021, o ad anni futuri, sicuramente associavamo i nostri pensieri a qualcosa di tecnologicamente avanzato, però non fino ad arrivare a ciò che quest’anno vedremo da un punto di vista Beauty. Il colosso del mondo Beauty quando accosta i suoi prodotti alla tecnologia dà vita a creazioni innovative sempre più valide. L’ Oréal già nel 2014 lanciò l’App Makeup Genius, con la quale ognuno poteva provare i prodotti in tempo reale usando lo schermo del proprio cellulare come uno specchio. Tutto parte dallo scatto di una foto del proprio volto, l’App ne riconosce le forme e si possono saggiare ombretti, rossetti, fard. La tecnologia dell’ App fa sì che il trucco sembri applicato al volto, per arrivare poi ad acquistarlo. Nel 2017 l’ Oréal fece un passettino in più presentando nelle profumerie uno scanner per il viso, attraverso cui ogni cliente poteva in soli 5 minuti avere un fondotinta personalizzato. L’algoritmo non fa altro che prendere informazioni sul tono e sulla tipologia di pelle e crea una formula adatta per l’incarnato di chi ha scannerizzato. Sembrerebbero cose futuristiche ma sono più che reali ed esistenti.

L’evoluzione dona strumenti nuovi e mezzi che supportano in modo creativo il nostro stile di vita. L’evoluzione porta a vivere mondi diversi e la possibilità di sfruttare la sua ricchezza. Chiudersi all’evoluzione non è un atto di ribellione bensì non darsi l’opportunità di ampliare la propria conoscenza. La ricchezza risiede nell’accumulare più realtà possibili da poter decidere di usarle oppure averne a disposizione come bagaglio personale.

Dato che la realtà Tech è il mondo in cui gravita sempre più la cosmetica, l’ Oréal anche questa volta pone la sua firma. Ciò che vedremo sul mercato sarà un mix delle due innovazioni suddette. Un dispositivo fisico che permetterà di dar vita a creme, rossetti e fondotinta su misura. Perso è un sistema che personalizza, a seconda delle proprie esigenze, cocktail cosmetici. Si parte sempre dall’ App dedicata che attraverso la foto del volto analizza la pelle. Insieme al volto combina le condizioni ambientali in cui si vive (umidità, temperatura, qualità dell’aria, inquinamento) e alla fine elabora la crema e il fondotinta su misura e già dosati, che fuoriescono dai tre fori posizionati nella parte superiore del dispenser apposito. Gli stessi passaggi vengono creati dal terzo dispenser per produrre diverse nuance di rossetti in base ai capi che si indossano. Insomma tanti rossetti a nostra disposizione da abbinare ai nostri look e mood del momento. Un fondotinta idoneo a coprire le imperfezioni della nostra cute del momento. Una crema adatta a rispettare le richieste della nostra pelle del momento. In definitiva, abbracciare realtà cosmetiche associate ad innovazioni tecnologiche non porta altro che a vivere in un mondo tridimensionale.

Apprezzare l’evoluzione tecnologica, capirla e viverla non ci fa allontanare dalla realtà statica e comunque sempre attuale. In ogni momento potremo passare da una dimensione ad un altra senza perdere di vista nulla, ma avendo a nostra disposizione più strade da percorrere.

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Voi ed Io: la Solitudine!

Questo articolo è il primo di una serie di articoli che apre le danze ad un appuntamento fisso in cui i protagonisti sarete Voi che mi seguite. Voi sceglierete un argomento di cui voler parlare. Voi analizzerete l’argomento che sceglierete. Voi racconterete il Vostro punto di vista e confrontandovi con Me sarà come essere in un salotto a conversare e disquisire.

I protagonisti di questo articolo sono il tema della Solitudine e la intrepida https://www.instagram.com/lithium138/ (Mary)

Per Mary la solitudine più che una condizione umana triste e negativa è una necessità, dato che può essere uno status in cui gli uomini si potrebbero sentire a proprio agio. Circostanze che possono portare inevitabilmente ad isolarsi sono in grado di conferire un valore importante alla solitudine. Secondo Mary la solitudine può diventare una migliore amica. Come una buona amica può dare supporto e rendere sicuri di se stessi. Si può vedere la solitudine come una fonte, uno stimolo da cui attingere affinché il nostro essere tragga sostegno e coraggio. Condividere il proprio tempo con qualcuno e togliersi dallo status di apparente isolamento non deve essere un bisogno ma deve essere un desiderio. Un desiderio che deve arricchire e non farci sentire più isolati di quando per scelta si decide di esserlo. Importante è porre l’attenzione su una differenza, quando la solitudine diventa una scelta personale e quando la solitudine è l’unica opzione. La solitudine diventa una scelta quando, nonostante siamo circondati da persone amiche, decidiamo comunque di isolarci in uno spazio personale al solo scopo di leggere dentro di noi ponendo l’ interesse su ogni sfumatura della nostra personalità. Questo può essere visto come un avere cura del rapporto con noi stessi. La solitudine forzata e obbligata inevitabilmente ci allontana dalla conquistata zona di confort. Ad esempio ci si può ritrovare soli in un contesto sociale poiché si fa fatica a socializzare, o ci si può sentire soli in compagnia di persone con cui si ha una relazione superficiale. Il periodo Covid, se ci si riflette, sembra un paradosso della solitudine, sembra aver fatto vivere in contemporanea le due facce di una stessa medaglia. Essere stati obbligati ad isolarci dal resto del mondo, ma andare alla ricerca della propria solitudine all’interno di un contesto familiare. Per Mary la capacità di stare da soli è una grande conquista emotiva perché fornisce al proprio IO la possibilità di isolarsi nel mondo, alla ricerca di concentrazione ed ispirazione. Non è facile ascoltare la voce dei propri pensieri, come non è facile analizzarne il tono e il modo in cui li rileviamo. Ci sono persone che hanno paura di isolarsi perché hanno paura di ascoltare, altre che si cibano della solitudine. Chi si nutre di solitudine, vista come un bisogno vitale affinché la sua abilità venga fuori, è colui che ancor prima di comunicare con gli altri, attraverso i propri lavori, comunica con se stesso e con la sua testa e anima. Compositori, pittori, scrittori, tutti coloro che fanno della propria arte innata un mestiere, hanno bisogno di dissetarsi dalla linfa della solitudine. Se dovessero perdere essa resterebbero privi di una parte di se stessi.

Un confronto quello con Mary che ha dato alla Solitudine diversi colori. Giocando con una tavolozza di nuance non abbiamo fatto altro che mescolare le nostre tonalità e accostarle, tanto da crearne un quadro in cui si legge una visione di due menti.

“La solitudine dà alla luce l’originale che c’è in noi” (Thomas Mann)

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L’ arte della provocazione

La provocazione è un’arte. L’arte si ciba di provocazione e ne offre a chi è digiuno. E’ proprio nell’arte contemporanea che la provocazione trova il suo riflesso, trova la sua massima espressione. Fonte della provocazione sono immagini che nella vita reale scandalizzerebbero ma esposte in una galleria d’arte prendono tutto un altro valore. Il pittore Andy Warhol provocò non poco, basti ricordare il disegno che creò per la copertina di un album musicale, una banana sullo sfondo bianco. Non da meno e più recente è l’artista Maurizio Cattelan che con una delle sue opere provoca rendendo tutto memorabile, il dito medio eretto di fronte alla sede della Borsa di Milano. Come si impara dall’arte la provocazione non è fine a se stessa ma ha un obiettivo, quello di suscitare riflessione. La provocazione, che sia essa usata come un atto seduttivo o che sia adoperata per avere una reazione da parte dello spettatore o interlocutore, ha insito in sè il compito di accendere pareri o repliche. La provocazione nell’arte si basa sul concetto della denuncia di un pensiero, di una idea, ed è proprio per questo che è più protesa al concettualismo invece che alla classica bellezza d’arte. L’arte ha la capacità di provocare effetti diversi a seconda di cosa viene interpretato dal proprio punto di vista. Anche una foto o una immagine scattata può provocare meraviglia, stupore, ma anche indignazione. Può sedurre, mandare messaggi accattivanti e avere come risposte espressioni di desideri sessuali. Oppure può provocare stimoli intellettivi. Chi si avvale dell’arte della provocazione può portare allo scoperto colui che interagisce con la provocazione stessa. Non tutti hanno la capacità di provocare reazioni in coloro che in condizioni normali non mettono in mostra il loro punto di vista o la loro opinione. E’ più facile lasciar perdere che accogliere una provocazione. E’ più facile rimanere passivi che essere coraggiosi di rispondere a colui che provoca. Chi provoca in modo intelligente, con sottigliezza e finezza apre le strade a dibattiti appassionati, ospita posizioni soggettive che portano alla conoscenza di chi si trova in quel virtuale salotto. La provocazione ha un ruolo predominante anche nella Moda. La Moda ama lanciare nuove tendenze provocando stupore. Provoca a livello sessuale, sociologico, politico, religioso, insomma sa provocare in ogni ambito e lo fa facendo parlare di sè, e facendo sfilare l’arte della provocazione. L’ arte della provocazione ha caratteristiche proprie che rispondono a termini come sconvolgente, disorientante, indipendente. Essere artisti nella provocazione vuol dire puntare su se stessi i riflettori, vuol dire essere sagace nell’attirare l’attenzione su se stessi, ed essere bravi maestri nello spingere chi è all’ ascolto o chi guarda ad intervenire dando la propria interpretazione o facendo uscire allo scoperto il proprio pensiero. L’arte della provocazione invia messaggi di vari gradi di importanza affinché questi messaggi stessi siano recepiti e valutati, e su cui ognuno venga stimolato.

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Far vivere anche la parte più dark

Quando si indossa qualcosa che esalta una delle tante sfumature di cui si è fatti ci si immerge in una dimensione diversa dal solito e a volte segreta. A volte ciò che è segreto dovrebbe rimanere nell’ombra, dovrebbe avere il colore del buio, dovrebbe anche spaventare, ma l’oscuro ha il suo fascino. L’ inconfessato ha sempre un sapore seducente. Per questo si cerca di dargli luce e di far risplendere la sua tonalità. Sono tante le armi e gli strumenti che hanno questa capacità, che portano a galla la misteriosa parte nascosta. A volte siamo noi stessi a darle vita, altre volte sono gli altri ad accarezzarla e farla vivere. Chi di noi non custodisce in maniera attenta quell’essere segreto, quella parte profonda che si intravede a volte in capi di abbigliamento, in look sfoggiati per determinate occasioni, o solo percepita da tenui atteggiamenti? Ciò che è segreto risulta essere un territorio inesplorato e quando si intuisce non sempre lo si vuole percorrere per timore di non approvare o di non essere approvati. Ma quando esce fuori è perché ci si sente spinti dal voler essere se stessi e dal volersi apprezzare lontano dagli standard imposti. La medaglia ha sempre due facce, quando si mostra una l’altra resta a riparo da occhi. Entrambe però, che sia in contesti diversi o in momenti precisi, devono vivere. Può succedere che non si riesca a riconoscere alcuna sfumatura segreta, ma forse perché non si riesce ad individuarla o ammetterla, oppure non le si dà importanza o valore. Quando invece le si vuole dare libero sfogo ecco che la si lascia libera di vagare. Una differenza sostanziale che esiste quando si mostra una faccia della medaglia rispetto ad un’altra sta tra il volere attrarre l’attenzione a tutti i costi e l’ avere il reale desiderio di vivere tutto, di essere autentici anche nel vivere tutto. Ciò che si palesa, ciò che esce dall’oscurità si mette in vetrina e narra ciò che fino ad allora era rimasto inespresso. Quando quella faccia celata viene alla luce lo fa in ambienti non visibili a tutti e ne trae appagamento. Cosa comporta svelare una parte segreta di noi a persone scelte? Cosa crea in noi il pensiero di regalare luminosità a ciò che era al buio? Siamo sicuri che la nostra parte più oscura ha il coraggio di mostrarsi o vuole solo rimanere nel suo protetto habitat? Se ci si riflette la risposta è racchiusa in una parola, ‘libertà’. Quanto è importante sentirsi liberi di agire, di essere, di volere, di desiderare, semplicemente di vivere! Basta riuscire a guardare dentro il segreto, lasciarlo specchiare e farlo riflettere affinché possa vivere in un altro mondo. Ma se lo si fa vivere non è più segreto? Certo che rimane segreto, perché si limita a vivere come merita solo in un ambito ristretto. Diventa esclusivo per se stessi e per chi ne è lodevole di nota. Come quando vogliamo farci vestire da un abito nero che sappiamo ci farà brillare perché solo modellato al nostro corpo crea quel mix perfetto per prendere parte ad una serata irripetibile.

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L’effetto: si indossa, si sente, si vive!

Che cosa vuol dire effetto? Cosa si intende con il termine effetto associato ad un altro termine? Che cosa si trae dall’effetto di un determinato evento, o capo, o tessuto, o dall’effetto di una sensazione? Di solito con la parola effetto si pensa subito al risultato, a ciò che è conclusione di un qualcosa. Ma effetto è soprattutto un cammino. L’effetto è percezione di quello che stiamo vivendo. L’effetto è un divenire, un percorso, che non è nato finito per essere tale ma che lo si modella affinché sia tale. L’effetto è creare una conoscenza. Quello stesso effetto ci guida alla consapevolezza di ciò che è. Fare effetto, sentire l’effetto, mostrare l’effetto, sono la somma di ciò che si può chiamare un percorso sensoriale. Soffermarci su cosa vuol dire effetto è capire come i nostri sensi vengono stimolati per arrivare ad un quadro completo della comprensione di quello con cui veniamo a contatto. L’effetto come parola unita ad altre parole può mutare significato, ma ciò che rimane invariato è l’emozione che si sente e si prova solo a pensare al senso del termine e a ciò che esso promette.

Nella moda sono tante le terminologie scelte ed usate, a volte sembra tutto lecito, ma mai come questa volta la moda ci ha azzeccato. Effetto Pelle, è l’effetto che in questa stagione autunnale 2020 sta spopolando. L’ Effetto Pelle ricrea la sensazione che si è avuta sin dagli anni ’20 ad oggi. Negli anni venti Salvatore Ferragamo ebbe successo con la pelle di pesce, detta anche cuoio marino. Negli anni ’40/’50 si parlava della pelle di coccodrillo con la borsa Kelly di Hermès. Si passa poi dagli anni ’60 rivoluzionari agli anni ’70 in cui esplose la pelle nera e liscia con il suo chiodo. Negli anni ’80 la pelle divenne un trend a tutti gli effetti. Negli anni ’90 e 2000 la pelle laserata (lavorata con tecnologia a laser) fu il tessuto che predominava. Fino ad arrivare ai giorni nostri in cui la pelle e il suo effetto non fanno altro che rispondere ad attributi come lucentezza, fluidità, leggerezza. Sentirsi in totale equilibrio con il tessuto che indossiamo non fa altro che amplificare la nostra sensibilità, e l’ Effetto Pelle lo fa in modo molto sexy. Sin dal tatto che dall’odore passando dalla vista l’ Effetto Pelle crea un tragitto capace di rendere chiara la direzione di quel determinato capo unito al nostro corpo.

L’ effetto si fonde in ciò che in quel determinato momento rappresenta. Si mescola nella visione di quello che accompagna, ne crea una storia sua personale ed unica. L’effetto è sinonimo di attuazione di ciò che si prefigge. Vivere un effetto, qualsiasi sia il genere, richiama la reale natura di ciò di cui parla creando un’esperienza completamente nuova e irripetibile.

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Farsi notare

Da quando ci esponiamo attraverso i social e in particolare attraverso Instagram, il social rinomato per il suo farsi notare, la parola d’ordine è espressione. Si cerca ogni forma per farsi notare, ogni linguaggio adatto per farsi vedere, per presentare ciò che si vuole condividere di sè. Ma siamo sicuri che lo facciamo nella maniera giusta? Siamo certi che tutto quello che facciamo vedere sia adatto? Gli occhi che usiamo per guardarci e per guardare altrove hanno capacità di dire la verità o si nasconde, persino a se stessi, la non riuscita dell’obiettivo prefissato attribuendone il fallimento a qualcosa di esterno? Quando si sceglie di indossare un capo piuttosto che un altro lo si fa con l’intenzione di non passare inosservato. Questo vale anche quando si vuole mandare un messaggio o si vuole raccontare qualcosa. Farsi notare è direttamente proporzionale all’ espressione. Più l’espressione è emotivamente calzante più il farsi notare è esplicito. Presentare un prodotto, mostrare una creazione, far vedere un selfie, passano in secondo piano perché risultano senza anima, perché è come se fossero esposti in una vetrina. A meno che quella vetrina non sia tutta illuminata o abbia qualcosa che attiri non riuscirà a colpire l’interesse dei passanti. Se ciò che si espone lo si esprime, lo si racconta, lo si narra, allora si crea una relazione tra storia, narratore e lettore. Usare il linguaggio di comunicazione che più ci rappresenta è la chiave per farsi notare. Considerare la propria espressione social come contenitore di se stessi è il punto di partenza per creare connessione. Farsi notare non è sinonimo di essere un fiume in piena, ma riuscire a bilanciare ciò che serve per essere espressione seducente. Farsi notare è promuovere se stesso. Come? Con ingredienti quali inventiva, fantasia, serietà e verità. Bisogna trovare le giuste strade per non canalizzare la propria espressione su un’unica carreggiata. Farsi notare non deve essere dettato dalle ‘leggi‘ social, non deve essere stimolato da contenuti che ‘funzionano’, perché il risultato sarà che le immagini si assomiglieranno e nessuno noterà l’autore o il soggetto. Per diventare espressione eccellente di se stessi e diventare ‘noti’ bisogna sempre tenere viva l’attenzione altrui con argomenti coerenti, pertinenti e di rilevanza. Il farsi notare risiede dentro ogni persona che con un minimo di narcisismo vuole mostrarsi. Ma mostrarsi vuol dire dar prova di se stessi e avere qualcosa da comunicare alla community. Rivelare se stessi e dare forma e figura alla propria espressione su piattaforme social, ma anche nella vita, non è solo esserci ma è farsi notare. Nessuno noterà chi sei se non sei tu per primo che noti te stesso. Essere notati è scrollarsi dalle ‘paturnie’ che affliggono. Essere notati è suscitare interesse e curiosità. Distinguersi e non uniformarsi. Non nascondere ma mettere in risalto. Caratterizzarsi per qualcosa di creativo e originale tralasciando temi già trattati e visti. Raccontare la propria storia e non fare eco della storia degli altri. Tutto questo equivale a farsi notare.

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Marzo e come vestirsi: un' analisi diversa dal solito!

Marzo di solito è un mese di transizione e mai come quest’anno risulta un mese di cambiamento radicale. Marzo ha cambiato il suo modo di vivere e insieme a lui siamo cambiati noi. Il nostro stile di vita si è mutato talmente tanto da non aver avuto il tempo di accorgercene, ma ora dopo un pò di giorni ci rendiamo conto di quanto sia importante essere lucidi e consapevoli, oltre che essere coerenti e razionali. Le filastrocche parlano di Marzo come un mese pazzerello e mai come oggi sono completamente d’accordo con questo termine. Marzo è il mese dell’inverno e della primavera, e se comanda il primo allora noi seguiamo il suo essere grigio e ventoso, il suo essere piovoso e freddo, ma se comanda la primavera allora il nostro stile diventa colorato e propositivo. Marzo e come vestirsi, sembra un pò una sorta di irriverenza verso quello che stiamo vivendo, ma se lo circoscriviamo a come un colore o un capo possano far sentire anche in questo momento allora potremo sentirci confortati e magari anche sorridenti. Come questo mese attraversa vari stati d’animo a seconda di quello che propone, anche noi stiamo attraversando sentimenti ed emozioni varie e contrastanti. Ciò che indossiamo in questo periodo non è solo espressione del momento ma è anche, come ho sempre sostenuto, esternazione di quello che interiormente si prova. Il luogo in cui possiamo mostrare il nostro stato d’animo ora è uno solo e non possiamo farci travolgere ed essere privi di forza. La forza di un colore o di un capo deve essere la nostra arma, un’arma dal valore unico, un’arma che si coniuga bene con l’idea del vivere questo mese di Marzo in maniera differente rispetto al nostro solito. Bisogna viverlo con una sorta di salvaguardia, di protezione per il nostro umore. Se prima l’obiettivo di vestirci, di scegliere il look era finalizzato a divulgare ciò che sentivamo dentro, ora più che mai deve risultare il mezzo con il quale alleggeriamo il nostro stato d’animo, come se indossare qualsiasi cosa possa aiutare a sentirci meglio, a provare sensazioni nuove e produttive. Una tuta, un pigiama, un leggings e una felpa, un fuseaux e un cardigan, un maxi-maglione, sono capi di abbigliamento che non solo risultano adatti alla stagione ma anche al momento che stiamo vivendo, e allora perchè non provare a creare abbinamenti diversi fra loro per non dimenticare che vivere non è un’ opzione o un’ alternativa, è un dovere.

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L’abito e lo stile sono strumenti per comunicare!

Ho sempre detto che il fine del mio Blog è riuscire a riflettere sul nostro stile, a viaggiare interiormente attraverso ciò che indossiamo, capire noi stessi utilizzando il nostro gusto per poi farci conoscere ancor prima di proferir parola. Ognuno di noi appartiene ad uno stile, ogni stile può diventare il mezzo di comunicazione di ognuno di noi. Lo stile non è costituito solo da ciò che si indossa, ma anche dal perchè lo si è scelto, dal come lo si indossa, da ciò che si vuole trasmettere e da come ci si vuole mostrare. Se reputiamo tutti questi aspetti come la somma di elementi importanti che raccontano la nostra storia, allora vuol dire che stiamo dando un valore psicologico allo stile.

La domanda che tutti si pongono quando ci si veste è: “come facciamo ad essere fighi ?” In altre parole “come riusciamo a far si che la nostra personalità e persona vengano ammirate ed elogiate ?” Il primo strumento con cui comunichiamo è il nostro vestire. Il proverbio che dice l’abito non fa il monaco non è del tutto vero, perchè è giusto che non ci si debba soffermare all’apparenza ma è pur vero che ciò che indossiamo ha un valore e quel valore è dato sia dalla scelta di aver preferito un brand ad un altro, che da ciò che vogliamo trasmettere con quel look o stile. L’abito inizialmente produce un effetto, vestirsi deve avere in sè un messaggio interiore perchè va a sostituire in prima battuta la comunicazione verbale. Sfoggiare un look rispetto ad un altro, vestire un brand rispetto un altro, deve avere una finalità, deve mandare un messaggio ovvero il nostro messaggio. Noi tutti risultiamo contenitori, se questi contenitori rimangono vuoti non si potrà mai avere valore personale ma ci si affiderà sempre e solo al valore del brand che indossiamo, se invece il contenitore è pieno il suo valore anche se piccolo sarà reale, proprio e vero. Psicanalizzare il comportamento di una scelta non fa altro che indirizzarci verso la creazione di una identità. Se si sceglie di omologarsi alla massa, si sceglie di rompere le differenze di età e di classe sociale, copiare uno stile non fa altro che rendere tutti ‘stessi personaggi’ di un’unica comunità e allora in quel caso non è l’abito che comunicherà il nostro messaggio ma dovranno essere i comportamenti, gli atteggiamenti e le parole di ognuno ad annunciare chi siamo e cosa vogliamo dire. Ma se invece ci affidiamo ai vestiti e allo stile, o gli stili, che mostriamo allora saremo capaci di disegnare la nostra identità. Saremo abili, attraverso ciò che scegliamo di vestire, di parlare, di raccontare e narrare di noi ma anche del brand che portiamo. Pensare che indossare un marchio alla moda o un capo particolare o specifico possa garantire l’essere ‘figo’ vuol dire fingere a se stessi di far parte di uno stile di vita che non rende felici ma tutt’altro, quella felicità è effimera. Se si pensa di darsi valore attraverso gli oggetti in voga allora vuol dire che si è insicuri, che non si crede a quanto si vale e che invece di dare valore alla persona lo si leva. Quindi tutto sta nella scelta e nel perchè si sceglie di vestire un capo. Sapere perchè si sta indossando quel capo equivale a rivelare ciò che abbiamo dentro e cosa vogliamo divulgare.

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Gli charms, attimi di una storia!

Una vera e propria mania quella degli charms o semplicemente ciondoli, ne creano di tutti i tipi, la fantasia arriva ad alti livelli, ogni azienda ha la sua linea di charms, ogni brand cerca di affascinare potenziali acquirenti creando charms raffiguranti oggetti o esseri impensabili. Una tendenza che sta prendendo piede già da qualche anno, una moda che piace e non dispiace. Se ci riflettiamo sù, gli charms non sono solo ciondoli, non sono solo piccoli gioielli da indossare per mostrarli o farli tintinnare, ma sono delle preziose icone, personificazioni di qualsiasi cosa, dalla cosa più materiale possibile a quella più astratta. Uno charm chiama un altro, perché rappresentano il più delle volte la vita di ognuno, sigillano una promessa, testimoniano un momento, dimostrano un amore. Ognuno di essi porta con se un valore, un significato importante per chi lo sfoggia con entusiasmo. Il creare un bracciale con charms è quasi come comporre un puzzle, ogni pezzo ha la sua rilevanza e insieme ad altri prende una forma diversa. Diventano quasi il megafono dei sentimenti, il portavoce dei pensieri. Perché questi gioielli sono tanto affascinanti? Perché hanno il potere della personalizzazione, ognuno di essi viene scelto per il valore intrinseco che personalmente gli diamo. Uno charm può essere paragonato a livello di valore ad un tatuaggio. Tatuarsi la pelle è mettere per iscritto momenti e ricordi, dare una descrizione visiva a ciò che si sente, è cosi che può essere visto anche il ciondolo, protagonista indiscusso ormai del mondo dei gioielli. Gli charms sembrano non risentire minimamente delle stagioni e questi semplici accessori ormai sono diventati uno stile di vita. Avere uno charm in più è come aggiungere un altro attimo ad una storia, la nostra storia. Ogni elemento di questa storia si mostra e brilla, racconta e narra, diventa espressione individuale. Ogni attimo basta a se stesso ma è anche complementare, ogni charm da solo può rivelare un significato ma aggiunto ad altri può riportare un racconto.